Centocinquanta anni fa la Stazione Zoologica di Napoli aprì la strada agli studi sulla biodiversità, un tema oggi di straordinaria attualità.


Centocinquanta anni fa la Stazione Zoologica di Napoli aprì la strada agli studi sulla biodiversità, un tema oggi di straordinaria attualità.

di Roberto Roveda

Nel 1872 l’Italia, da poco diventata nazione, arrancava inseguendo gli altri Stati europei sulla scia della modernità. Il fervore scientifico e tecnologico che caratterizzava il secondo Ottocento non era però estraneo al nostro Paese.

Lo testimonia la vicenda della Stazione Zoologica di Napoli, che prese le mosse proprio 150 anni fa per iniziativa di un uomo capace di sognare e di rendere concreti i sogni: Anton Dohrn. Era un tedesco di Stettino, sul Mar Baltico, che aveva studiato senza grandi entusiasmi zoologia e medicina. Nel 1862 però era stato folgorato dalla teoria evoluzionistica di Charles Darwin e ne era diventato sostenitore. Decise quindi di dedicare la propria vita alla ricerca e alla raccolta di prove a favore del darwinismo.

SUL MARE. Anton Dohrn visse in anni di grandi scoperte scientifiche, in particolare per quanto riguarda lo studio dei mari e della biologia marina. Cominciò quindi ad accarezzare l’idea che i biologi potessero fare ricerca “sul campo” a due passi dall’acqua. Anzi, direttamente sul mare, con a disposizione laboratori all’avanguardia e una biblioteca costantemente aggiornata. Il luogo ideale per realizzare il progetto venne individuato nel Golfo di Napoli, per la sua enorme ricchezza biologica. Lo studioso trovò l’appoggio, anche economico, di scienziati, artisti e musicisti suoi amici e riuscì a persuadere le autorità cittadine a cedergli, a titolo gratuito, un terreno in riva al mare, nella Villa Comunale (allora Parco Reale).
Così, nel 1872, venne fondata la Stazione Zoologica, un evento che Darwin stesso festeggiò in una lettera a Dohrn scrivendo: “Sono contento di cuore per il successo della vostra grande impresa di Napoli; e credo fermamente che con questo voi abbiate reso un gran servizio alla scienza”. In breve tempo il nuovo centro di ricerca divenne operativo e celebre tra gli scienziati, anche perché il fondatore aveva ideato un modo ingegnoso per farla conoscere e nello stesso tempo ?

La Stazione promosse la “pesca scientifica”: pescatori esperti raccoglievano campioni di fauna che poi venivano spediti alle università finanziarla. Racconta il professor Ferdinando Boero, Chair della Stazione Zoologica di Napoli: «Dohrn decise che la sua istituzione doveva essere un luogo di incontro di ricercatori di tutto il mondo.

Inaugurò così il sistema dei tavoli di studio, postazioni che venivano affittate a caro prezzo a governi e istituzioni scientifiche, che potevano svolgere i loro studi in totale libertà». Sempre in movimento UN ACQUARIO UNICO. C’era poi un altro servizio che rendeva la Stazione unica nel suo genere e che serviva a rimpinguarne le casse: la “pesca scientifica”.
Campioni della flora e della fauna del Golfo di Napoli venivano raccolti da pescatori specializzati e poi inviati nelle università e negli istituti di ricerca di tutto il mondo.

A coordinare il servizio, all’epoca unico al mondo, Salvatore Lo Bianco, studioso che I a Stazione Zoologica attira studiosi italiani e stranieri ed è un ente sempre più Lvitale. Accanto all’Acquario è sorto il Centro per il recupero delle tartarughe marine di Portici, dove questi rettili marini sono studiati, curati e liberati, con l’acquisizione di importanti conoscenze sulla loro biologia e conservazione.

Ultimo nato, il Museo Darwin-Dohrn, accanto all’edificio storico della Stazione Zoologica (anch’essa oggi intitolata al fondatore, Anton Dohrn) racconta la storia delle ricerche degli ultimi 150 anni e la missione della Stazione a supporto della teoria darwiniana. Qui l’evoluzione delle specie marine viene esposta attraverso un insieme unico di reperti, riproduzioni, collezioni biologiche e opere di numerosi artisti. La missione della Stazione Zoologica, quindi, va oltre l’acquisizione di nuove conoscenze sul mare e abbraccia una finalità strategica per l’Unione Europea: l’alfabetizzazione marina. pubblicò nel 1909 un catalogo della fauna del golfo partenopeo, per rendere più facile la scelta dei campioni da parte dei ricercatori.

A Dohrn non mancava certo la fantasia quando si trattava di sostenere la sua creatura. Per attirare attenzione e visitatori, realizzò anche l’Acquario, per mostrare le meraviglie della fauna e della flora del Golfo.
Oggi è completamente restaurato: si tratta dell’unico acquario dell’Ottocento che ha conservato integralmente la struttura originaria. Alla morte di Dohrn, nel 1909, la Stazione era un istituto internazionale e indipendente di ricerca, specializzato nella biologia marina e famoso in tutto il mondo: un “congresso permanente di zoologi”, come disse Benedetto Croce. Le cose non cambiarono neppure quando la direzione passò dagli eredi del fondatore allo Stato italiano. Con la Prima guerra mondiale, infatti, la Stazione venne nazionalizzata i Dohrn, per quanto benemeriti, erano pur sempre tedeschi e l’Italia era in guerra con la Germania e nel 1923 divenne un ente morale controllato dal ministero della Pubblica istruzione.

DUE ANIME.

Non erano tutte rose e fiori, però. Già nei primi decenni di esistenza emersero contrasti tra le due anime della Stazione Zoologica. La prima mirava allo studio della biodiversità e delle comunità di organismi presenti nel Golfo di Napoli. La seconda prediligeva l’uso di questi organismi per fare luce su problemi fondamentali della biologia: gli organismi prelevati in mare venivano utilizzati come modelli sperimentali per la ricerca.
Nel centro scientifico partenopeo si posero le basi per comprendere fenomeni riguardanti la riproduzione, il sistema nervoso e lo sviluppo di moltissimi organismi, con ricerche talmente innovative e proficue da relegare in un angolo la missione originaria della Stazione.

«Lo studio della biodiversità», spiega Boero, «cominciò a ? Sott’acqua Un palombaro pronto a immergersi nelle acque del Golfo di Napoli. La mente Anton Dohrn (18401909) nel 1889: fu lui a immaginare e fondare nel 1872 la Stazione Zoologica di Napoli.

Grazie agli studi sul polpo, si sono potuti indagare i meccanismi dell’apprendimento e della memoria essere considerato come una disciplina minore, solamente descrittiva, e nel corso del Novecento venne praticamente abbandonato, privilegiando gli aspetti sperimentali.


Fu un grande errore che ci ha portato, per fare un esempio, a ritenere più importante scoprire se vi è vita sugli altri pianeti che sapere quante specie animali vivono nel nostro mare. Intendiamoci: non è stato un errore studiare la biologia animale con tecniche avanzate, ma è stato un male pensare che fosse l’unica cosa sensata da fare».

UN PIENO DI NOBEL.

Nel corso del Novecento la Stazione si fece anche conoscere come sede di sperimentazione di nuove tecnologie applicate alla ricerca. Per esempio l’uso di pellicole cinematografiche per gli studi di embriologia sperimentale, le prime esperienze di cinematografia scientifica (supportate dall’Istituto Luce), la ricerca finanziata dalla Kodak per l’impiego di gelatine di origine animale nelle pellicole fotografiche.
Qui vennero condotti studi fondamentali sulla fisiologia animale, sulla biochimica e sulla neurobiologia. In questi progressi ebbe un ruolo decisivo un “abitante” ben noto del Golfo di Napoli: il polpo.

Questo animale si rivelò fondamentale per lo studio dei meccanismi dell’apprendimento e della memoria. In più era sempre a disposizione dei ricercatori, dato che i pescatori di Posillipo riuscivano a portarne anche venti al giorno alla 82 FS Stazione Zoologica, dove venivano ospitati in oltre 200 vasche.


Il risultato di questo fiorire di ricerche sono i più di venti Premi Nobel che hanno lavorato nei laboratori della Stazione, perennemente rinnovati e sempre più all’avanguardia. Eppure, avere privilegiato il fronte della fisiologia e lo studio dei processi alla base dell’organizzazione della materia vivente col tempo ha rischiato di rendere la Stazione obsoleta.

L’avvento degli animali modello, allevatili in laboratorio in gran quantità, per lo studio di fenomeni biologici di interesse generale, diminuì l’attrattività della Stazione Zoologica. I moscerini della frutta come Drosophila, i nematodi come Coenorhabditis, i pesci zebra come Dario, assieme a cavie, ratti e topi, sostituirono gli animali catturati nel loro ambiente.

A quel punto tornò in primo piano lo studio della biodiversità e degli ecosistemi, mai del tutto abbandonato grazie a studiosi oggi misconosciuti come Rupert Riedl, scomparso nel 2005 (v. riquadro).

Nel 1992, con la Convenzione di Rio de Janeiro, l’Onu riconobbe il ruolo centrale della biodiversità per la nostra sopravvivenza e, da allora, altre convenzioni internazionali hanno ribadito il concetto. «Le tematiche perseguite nella Stazione Zoologica, arricchite da approcci molecolari e biotecnologici, sono tornate all’avanguardia», spiega Rupert Riedl e la biodiversità l-er buona parte del Novecento lo studio della biodiversità marina è stato considerato una disciplina “cenerentola” nella Stazione Zoologica di Napoli.

A contrastare questo declassamento fu, tra pochi altri, lo zoologo austriaco Rupert Riedl (1925-2005).

Agli inizi della sua carriera Riedl fece una spedizione a Napoli per studiare la fauna e la flora delle grotte marine nel golfo partenopeo. Usava l’autorespiratore per le immersioni e voleva dimostrare che le grotte potevano essere studiate in maniera approfondita solo in quel modo. Sulle prime, alla Stazione Zoologica gli dissero che avevano bisogno di scienziati e non di atleti. Poi però, visti gli esiti delle ricerche di Riedl, proprio la rivista Pubblicazioni della Stazione zoologica diede alle stampe, nel 1959, i risultati delle sue immersioni e degli studi portati avanti nella cosiddetta Tyrrhenia Expedition del 1952. Innamorato della Stazione.
Negli Anni ’80 la Stazione attraversava un brutto periodo e si decise di chiuderne la storica rivista scientifica. Riedl aveva scritto un articolo sull’ultimo numero, nel quale lamentava come le stazioni marine si stessero trasformando in stazioni di fisiologia e non venissero più impiegate per studiare gli animali nel loro ambiente.

Per esprimere meglio il concetto usò la figura retorica della chiusura delle finestre che guardano il mare. Riedl amava Napoli e amava la Stazione: non sopportava che la rivista chiudesse. Così decise di rifondarla, usando l’acronimo del vecchio titolo PSZN (Pubblicazioni della Stazione Zoologica di Napoli) con l’aggiunta della dicitura Marine Ecology.

Grazie a iniziative come quella di Riedl, la Stazione Zoologica di Napoli non ha mai tradito del tutto la vocazione originaria di centro per lo studio della vita marina. ancora Boero. «Lo dimostra, tra l’altro, il fatto che l’Italia stia programmando la realizzazione di un Centro nazionale della biodiversità.

Tornando all’antico, la Stazione è classificata tra i primi dieci centri di ricerca marina del mondo ed è l’unico centro di ricerca italiano a sud di Roma». Un vanto, per una istituzione che già centocinquant’anni fa sapeva precorrere i tempi.